La Tavola Osca (Vetter 1953 n. 147), chiamata anche Tavola di Agnone per
il luogo dove è stata trovata (1), è una tavoletta di bronzo, delle
dimensioni di centimetri 28x16,5, munita di una maniglia. Attualmente si
trova al British Museum di Londra.
E' tra le più importanti iscrizioni in lingua osca, dopo il Cippo Abellano e la Tabula Bantina di maggiore lunghezza, risalente circa al 250 a.C. a giudicare dalla forma delle lettere.
Le iscrizioni sulla tavola, ben leggibili ed incise profondamente, sono
poste su ambedue le facciate. La prima contiene 25 righe e la seconda 23
righe.
|
Tavola Osca - Lato A
|
|
Tavola Osca - Lato B
|
La prima facciata tratta di un recinto sacro, un santuario dedicato a
Cerere, dove si svolgono cerimonie religiose. Questi culti hanno luogo
durante il corso dell'anno in giorni stabiliti per 15 divinità elencate
in seguito. Poi l'iscri- zione rivela che all'interno di questo recinto
sacro, ogni due anni, sull'ara del fuoco avrà luogo la cerimonia. Quindi
viene attestato che ogni anno, al tempo della Floralia, presso il
santuario si deve sacrificare a quattro divinità.
Questa facciata nel suo insieme sembra indicare ciò che accade o deve
accadere nel santuario tanto da sembrare norme relative al suo
funzionamento o un calendario rituale. Nell'altra facciata viene
precisato che al recinto appartengono gli altari dedicati alle divinità
che vengono venerate all'interno del santuario. Poi si afferma che il saahtúm tefúrúm
deve essere sull'aria ignaria. Quindi viene attestato che il santuario
appartiene a coloro che pagano la decima. Quest'altra facciata elenca,
come un inventario, ciò che è di proprietà del santuario e le persone
che possono frequentarlo e che lo gestiscono. Il boschetto di Agnone
doveva essere situato nelle vicinanze del Monte del Cerro, fra
Capracotta ed Agnone, dove venne trovata la tavoletta più di un secolo
fa. La località (Fonte del Romito) veniva chiamata ancora con il termine
dialettale Uorte cioè Orto, Hortus in latino e Húrz sulla tavoletta.
Questo luogo era dedicato a Kerres (Cerere) ed i fedeli pagavano una
decima per la sua cura. Si svolgevano processioni sacre in periodi ben
definiti. Per compiere riti lustrali venivano effettuate soste presso
ognuno dei quindici altari presenti all'interno dell'Orto sacro. Ogni
due anni si manteneva acceso un fuoco e si facevano offerte su un altare
sacrificale. Cerimonie al di fuori dell'Orto sacro venivano celebrate
per Flora, processioni con soste rituali in onore di quattro divinità.
La tavola di Agnone menziona diciassette divinità e tale numero è la
prova evidente che i Sanniti tendevano alla polilatria. Tutte le
divinità hanno un nesso con l'agricoltura, il raccolto ed i frutti della
terra, sottolineato dall'epiteto Kerríiaís (Cereale) che si trova dopo
il nome di alcuni di essi.
|
Di seguito vengono elencate le divinità nominate sulla tavoletta:
Kerres - Cerere (la dea greca Demetra), la divinità cui era dedicata l'area sacra;
Vezkeí - Vetusco oppure Veiove;
Evklúí Patereí - Euclo padre (Ade); oppure Hermes.
Futreí Kerríiaí - Persefone figlia di Cerere;
Anter Stataí - Stata Mater;
Ammaí Kerríiaí - Maia, dea italica della primavera;
Diumpaís Kerríiaís - Le Ninfee delle sorgenti;
Liganakdíkei Entraí - Divinità legata alla vegetazione ed ai frutti;
Anafríss Kerríiuís - Le Ninfee delle piogge;
Maatúís Kerríiúís - Dea italica dispensatrice di ruggiada per i raccolti;
Diúveí Verehasiúí - Giove Virgator;
Diúveí Regatureí - Giove Pluvio;
Hereklúí Kerríiuí - Ercole;
Patanaí Piístíaí - Dea della vinificazione.
Deívaí Genetaí - Mana Geneta;
Pernaí Kerríiaí - Pales, la dea dei pastori.
Fluusaí - Flora protettrice dei germogli.
|
L'elemento di maggiore spicco è l'importanza attribuita a Kerres. L'area
sacra era a lei intitolata e tutti gli dei venerati in quel luogo erano
gli stessi dell'Olimpo sannita ma in relazione alla funzione cui erano
pregati di svolgere: guidati da Cerere, dovevano sostenerla nel
propiziare la terra e proteggerne i frutti.
Quindi Kerres è il fulcro dei rituali religiosi che si svolgevano
nell'Orto Sacro, inteso questo come simbolo di tutte le terre coltivate,
e non è una coincidenza che la Tavola sia stata ritrovata sull'altura
che oggi viene chiamata Monte del Cerro ed è stata realizzata in bronzo,
un metallo che occupava un posto di rilievo nei rituali in onore di
Cerere.
|
Cartografia della zona di Monte del Cerro
|
TRASCRIZIONE DELLA TAVOLA
a)
5
10
15
b)
c)
20
25
|
|
LATO A
statús pús set húrtín
kerríiín: vezkeí statíf evklúí statíf,
futreí kerríiaí statíf
anter stataí statíf
[kerrí statíf]
ammaí kerríiaí statíf
diumpaís kerríiaís statíf
liganakdíkei entraí [kerríiaí] statíf
anafríss kerríiúís statíf
maatúís kerríiúís statíf
diúveí verehasiúí statíf
diúveí [piíhiúí] regatureí statíf
hereklúí kerríiúí statíf
patanaí piístíaí statíf
deívaí genetaí statíf
assaí purasiaí
saahtúm tefúrúm alttreí
pútereípid akeneí / sakahíter
fiuusasiaís az húrtúm
sakarater:
pernaí kerríiaí statíf
ammaí kerríiaí statíf
fluusaí kerríiaí statíf
evklúí patereí statíf
|
a)
5
10
15
b)
20
c)
|
|
LATO B
aasas ekask eestínt / húrtúí:
vezkeí
evklúí
fuutreí
anter stataí
kerrí
ammaí
diumpaís
liganakdíkeí entraí / kerríiaí
anafríss
maatúís
diúveí verehasiú
diúveí piíhiúí regatureí
hereklúí kerriiúí
patanaí piístíaí
deívaí genetaí
assaí purasiaí
saahtúm tefúrúm
alttreí pútereípid
akeneí
húrz dekmanniúís staít
|
Il testo seguente è tratto da uno studio di Adriano La Regina (2):
Sappiamo che la lastra fu trovata con il chiodo di cui era munita per
l’affissione ancora conficcato in una pietra apparentemente crollata da
un muro costruito con blocchi squadrati e legati con malta. Questo è
l’unico, seppure vago, elemento esterno che possediamo per determinare
la data del bronzo, che non dovrebbe essere anteriore al II secolo a.C.,
allorquando nell’edilizia si diffonde localmente l’impiego della malta.
La datazione convenzionale alla metà del III secolo è basata su criteri
paleografici non vincolanti - lettere quadrangolari, presenza di í e di
ú - perché consentono solamente di determinare l’appartenenza
dell’iscrizione alla fase alfabetica media, secondo la classificazione
del Conway, o recente, secondo quella di Heurgon, ma comunque
delimitabile tra il III ed il II secolo a.C.
Il testo è inciso senza utilizzare appieno gli spazi disponibili, ma con
linee di scrittura predeterminate, in numero di 25 sul primo lato (A), e
di 23 sul secondo (B). Un breve tratto orizzontale inciso sotto
l’inizio di una parola, presente in tre casi (dopo A19, B2, B11), sta a
significare che quella parola appartiene alla linea di scrittura
precedente, e che solo per mancanza di spazio disponibile essa è stata
scritta a capo. Ciò dimostra l’intenzione di riprodurre, anche nella
distribuzione del testo, il modello da cui esso deriva.
Nonostante questa attenzione vi sono imprecisioni ortografiche ed
omissioni, in parte intenzionali, che risultano evidenti dall’esame
comparativo dei due documenti. Il modello da cui il testo fu copiato
era dunque scritto su una superficie più ampia; esso è però
ricostruibile con notevole approssimazione nei paragrafi Aa e Ba, che si
sviluppano parallelamente con nomi di divinità in colonna: è anomala la
posizione di kerrí statíf in A3, perché le due parole furono
omesse non intenzionalmente dopo A5, e reinserite in A3, nell’unico
spazio rimasto disponibile sulla superficie già completamente
utilizzata. Uno spostamento intenzionale, come si è pensato con
conseguenze sul piano interpretativo, non è giustificabile, in primo
luogo perché esso si sarebbe riprodotto anche in B, e poi soprattutto
perché esso avrebbe rispettato il principio di elencare ogni singola
divinità su linee diverse. Se si tiene conto di questo e del
riaccorpamento di B1-2 e di B10-11 risulta perfetto il parallelismo
nella distribuzione testuale dei paragrafi iniziali di A e B.
Sempre dall’esame comparativo dei due testi, e al tempo stesso della
superficie scrittoria utilizzata si può riconoscere l’intenzionalità di
altre omissioni: A8 omette kerríiaí per evidente carenza di
spazio, mentre nel corrispondente B11 la parola resta, ma con
l’annotazione di pertinenza alla riga precedente; ugualmente in A12 si
omette piíhiúí, che trova invece spazio, e resta, in B15.
Nei paragrafi successivi Ab e Bb fa fede, per la ricostruzione del
modello, Ab: sul lato opposto infatti la scrittura diviene più sciatta e
si allarga di molto. In B21 alttreí doveva appartenere alla linea precedente e così pure akeneí
di B22. Sembra quindi che a questo punto sia stata abbandonata ogni
attenzione nell’attenersi al criterio di riprodurre nel testo la stessa
distribuzione del modello. I paragrafi successivi non consentono
comparazioni perché differiscono totalmente.
Contenuto dei testi
Aa: status pus set "i sacrifici che devono aver luogo; stata sono per Festo, 466L, i sacrifici che devono aver duogo nei giorni fissati; húrtín kerríín
letteralmente "nell’orto di Cerere" ove la divinità compare però nella
forma aggettivale; si tradurrà "nell’orto sacro di Cerere" - o meglio
"nel santuario di Cerere". I nomi delle quindici divinità, elencate in
forma dativa, sono seguiti dalla parola statíf "nel giorno
stabilito", quale esso risultava dal Calendario ufficiale, e che quindi
non richiedeva particolare annotazione. Le divinità sono certamente
elencate in successione cronologica durante il corso dell’anno; la
divinità principale, Cerere, è infatti menzionata tra le altre e non in
posizione iniziale. Nel corso dell’intero ciclo annuale si tenevano
dunque nel santuario 15 cerimonie sacrificali, a cui sono da aggiungere
le altre quattro menzionate in Ac, pertinenti alle Floralia.
Ab: Il significato della parola tefúrúm non è stato chiarito, donde la difficoltà di intendere appieno la prescrizione, indicata dal verbo sakahíter, "sacrificetur" o simile. Il senso che se ne ricava è "sull’ara ignea il santo tefúrúm ogni due anni sia sacrificato/consacrato" o similmente.
Ac: fluusasiaís "durante i ludi Florales"; az húrtúm
"presso il santuario", non all’interno del recinto ma in sua immediata
adiacenza, si sacrifica a quattro divinità nei giorni stabiliti.
Solamente due di queste divinità compaiono nell’elenco precedente, ma
Euclo figura qui come "padre"; tra le due divinità aggiunte, che non
hanno altari permanenti elencati in B all’interno del santuario, vi è
anche Flora, fluusaí.
Ba: "Questi gli altari che sono nel santuario"; non si tratta di
un catalogo ma di un elenco normativo; segue la lista delle 15 divinità
già menzionata in Aa, di solito senza annotazione dell’epiteto kerríi.
Bb: Ritorna la clausola relativa al tefúrúm,
come in Ab ma senza il verbo; non si tratta di omissione in questo
caso, ma di un principio normativo: come in Ba si elencano gli altari
che sono (e devono essere) nel santuario, qui si stabilisce che ogni due
anni il tefúrúm è (e deve essere) sull’ara ignea; le prescrizioni rituali sono rispettivamente in Aa ed in Ab.
Bc: Enuncia la pertinenza del santuario dekmanniúís, "per coloro che versano le decime".
L’insieme
dei dati che ci vengono offerti dalla Tavola di Agnone è sufficiente
per comprendere molto di questo luogo sacro, di cui abbiamo la fortuna
di sapere tutto ciò che si ignora degli altri santuari sannitici
conosciuti invece nella loro consistenza monumentale. Sul lato A del
bronzo sono contenute le norme relative ai riti ed ai ludi, a ciò che si
deve fare dunque; sul lato B è invece indicato ciò che deve essere nel
santuario e la sua condizione giuridica. I riti si risolvono in 15
cerimonie annue nei giorni stabiliti, nella cerimonia biennale del tefúrúm, e nella celebrazione delle Floralia che si svolgevano apparentemente per quattro giorni. Il
santuario aveva poi 15 altari per cerimonie annue al suo interno,
certamente senza tempio (almeno nell’epoca in cui fu redatta la legge),
un tefúrúm che si istituiva annualmente su una sedicesima ara ad esso riservata o dedicata. Conosciamo
infine il nome di tutte le divinità, anche se di molte di esse il
significato è oscuro: sono evidenti Cerere, Giove che compare due volte
con attributi diversi, Ercole, Flora; probabile la presenza della Figlia (Proserpina): futreí, delle Ninfe: diumpaís, di Euclo: evklúí.
Cerere è la divinità dominante in tutto il corso dell’anno, anche
attraverso il carattere "cereale" attribuito a gran parte delle altre.
Nel suo complesso il sistema si rivela come ciclo culturale agrario, del
grano, collegato quindi con il mondo infero. L’elenco di divinità non
costituisce dunque un generico pantheon italico, ma il particolare
sistema cultuale di quel santuario, la cui area di influenza doveva
essere limitata all’ambito paganico, o interpaganico, a cui apparteneva.
Vi si celebravano annualmente solo i ludi Florales, certamente con
rappresentazioni sceniche. Il carattere dei ludi concorda con quello
agricolo dei culti.
Il bronzo contiene quindi non una qualunque legge sacra, ma la legge sacra di quel santuario. Poiché
il testo non riporta le date, né per le cerimonie né per la
celebrazione delle Floralia risulta difficile qualunque ricostruzione
dell’intero ciclo annuale, anche se qualcosa si può tentare di
stabilire. Ciò soprattutto sulla base delle Floralia che si dovevano
protrarre per almeno 4 giorni; sappiamo che a Roma, verso la fine del I
secolo a.C. esse duravano sei giorni a partire dal 28 aprile. Il 19
aprile cadevano a Roma le Cerialia. La successione kerrí e ammaí nell’elenco delle divinità sembrerebbe indicare che a quel punto siamo nel mese di aprile; ammaí ritorna infatti tra le quattro divinità delle Floralia, A23; evklúí patereí, distinto per la presenza dell’epiteto da evkúí, come del resto vi sono due diúveí in date diverse, chiudeva le Floralia. Se così è, si può attribuire ad aprile questa sequenza di celebrazioni:
húrtin:/
|
húrtin: kerrí statíf az húrtúm: pernaí kerríiaí statíf az húrtúm: ammaí kerríiaí statíf az húrtúm: fluusai kerríiaí statíf az húrtúm: evklúi patereí statíf
|
E' infatti evidente che l’ ammaí kerríiaí statíf indica l’identica data sia in A6 che in A23; sono le cerimonie che si duplicano, l’una all’interno dell’húrz, l’altra all’esterno. Sappiamo, del resto, che il mese di aprile prendeva nome, nelle lingue italiche, proprio da Flora: mesene flusore in un’iscrizione sabina (Ve. 227), e mense flusare
in un testo latino della zona vestina, datato al 58 a.C. (CIL I 756,
cfr. G. Radke, in Rh. M. 1963, p. 313 sgg.). Flora era infatti la
divinità che presiedeva alla fioritura della vegetazione (Florae quae rebus florescendis praeest, nei Fasti Prenestini al 28 aprile).
|
NOTE
(1) La località rustica, denominata Fonte del Romito o dell'Eremita, era
un podere del Sig. Giangregorio Falconi situato nelle vicinanze del
monte del Cerro, tra Agnone e Capracotta, coltivato dal contadino Pietro
Tisone che rinvenne la tavola mentre procedeva ai lavori di aratura nel
1848. L'importante reperto venne visionato dai fratelli Cremonese di
Agnone, intenti allo studio di resti lapidei rinvenuti in precedenza.
Tempo dopo i due fratelli Francesco Saverio e Domenico Cremonese
riferirono al Mommsen dell'importante rinvenimento del reperto bronzeo
in lingua osca. Lo studioso tedesco era già stato ad Agnone poco tempo
addietro quando, ospite del duca D'Alessandro di Pescolanciano, aveva
visitato quella parte del Sannio e le importanti vestigia sannitiche ivi
scoperte. Molti anni dopo la Tavola di Agnone era in possesso
dell'antiquario Alessandro Castellani di Roma che la vendette al British
Museum di Londra.
(2) F. COARELLI e A. LA REGINA - Abruzzo e Molise - Guide archeo Laterza - Bari 1984
|
|
Storia dei Sanniti e del Sannio - Davide Monaco - Isernia
|
|
|